venerdì 5 luglio 2013

Recensione "Balcani" di Alessio Parretti

Editore Autopubblicato
Pagine 146
Euro 10,00 (cartaceo) – 3,00 (ebook)
TRAMA: Sarajevo, 1992: le truppe di Ratko Mladic circondano la città, tenendola sotto assedio per quattro anni. Amir è uno studente d’ingegneria che si unisce alla resistenza bosniaca, scivolando in una quotidianità di orrore che decide di descrivere in un diario. Sarajevo, 1996: la guerra è finita, e l’esercito italiano partecipa alla ricostruzione della Bosnia. Una notte, in una scuola utilizzata come base dagli alpini, il caporale Fois precipita dalla finestra di un refettorio. Le indagini non individuano colpevoli, ma le vite di tre commilitoni ne saranno sconvolte per sempre. Balcani descrive, attraverso le storie dei suoi protagonisti, di come la guerra sia un crimine che contamina l’esistenza di chi ne entra a contatto, e di come la ricerca delle responsabilità sia l’unica strada per guarirne.
VOTO:
 

INCIPIT:
Il mio nome è Amir Osmanovic, e sono nato a Sarajevo ventitré anni fa.
Le pagine che seguono sono il mio diario, il resoconto della mia vita da quando la città è stata circondata dai miliziani fino a oggi.
Adesso, rileggendo quanto scritto, mi accorgo che non sempre la lucidità ha accompagnato la mia penna, e mi affido alla comprensione di chi recupererà queste memorie. Ho scritto le ultime pagine con l’urgenza di nasconderle in fretta e sopravviverle. Perciò, chiunque voi siate, consegnate tutto alle autorità bosniache. Per quanto possa apparirvi delirante, quello che segue (con nomi e fatti) non è altro che la verità, e leggendo comprenderete quanto il vostro intervento possa dimostrarsi utile. Se invece fate parte di quei nazionalisti, allora so già che queste pagine andranno in cenere, perciò vi auguro di seguirle presto.
RECENSIONE:
Ormai è da un quarto d’ora che sono davanti alla pagina bianca e ancora non mi sono decisa sul modo migliore per parlarvi di questo libro… proviamo a iniziare e vediamo cosa ne viene fuori. “Qual è il problema?” , vi starete chiedendo. Il problema in realtà è il peso di questo romanzo – ovviamente non parlo di peso in senso letterale – e l’argomento trattato. Se a questo aggiungiamo che per me è stata un’impresa leggerlo, potete capire la mia difficoltà nel parlarne.
Il voto che vedete sopra si riferisce all’opera in sé, non al livello di piacere che ne ho tratto… una cosa è sicura: è un libro da leggere al momento giusto, quando non avete la testa che cerca di scappare tra mille altri pensieri e quando siete abbastanza sereni da poter affrontare l’orrore che vi troverete davanti, perché per una volta non sarà un orrore partorito dalla fervida fantasia di uno scrittore, ma un orrore che purtroppo troppe persone hanno vissuto sulla loro pelle.
Io personalmente avrei preferito leggerlo in un momento diverso dal presente, forse non ne sarei rimasta meno scioccata, ma magari meno urtata da alcune cose… ma ci arriveremo tra un po’.
Balcani è sì un’opera di fantasia, ma come vi avevo anticipato nella segnalazione (QUI) è nato da testimonianze di persone che hanno davvero vissuto la guerra nella Ex Jugoslavia, nonché dal dossier dell’Associazione per i popoli minacciati Sezione Bosnia Erzegovina .
Chi di noi non ha mai sentito parlare di Sarajevo?! Ma chi può dire di sapere veramente cos’hanno significato quegli anni - che devono essere sembrati secoli - a chi l’ha vista coi propri occhi? Magari voi che leggete conoscete qualcuno che ci è stato e avete una fonte più approfondita dei fatti; io personalmente ho seguito, come la maggior parte degli italiani, la guerra attraverso giornali e televisione… non ho bisogno di dirvi quanto distante siano le versioni “destinate al pubblico” rispetto a quelle reali.
Se anche solo la metà di quello che ho letto in questo libro, corrispondesse alla verità, sarebbe sufficiente per lasciarmi sconvolta profondamente… purtroppo credo che la percentuale di realismo sia di gran lunga superiore al 50%!
Ma forse, più delle mie reazioni, volete sapere qualcosa di più di quest’opera. Si tratta di un libro che alterna il diario di Amir, giovane volontario dell’esercito bosniaco, con i pensieri di tre militari italiani, che in Bosnia sono arrivati solo quando la guerra era ormai terminata.
Per quanto le due visioni dei Balcani si avvicendino, le ho vissute come storie completamente separate. Alcuni dettagli e particolari contribuiscono a far intrecciare le due parti, anche se non temporalmente, in quanto l’esperienza italiana è successiva a quella bosniaca.
Ad essere precisi il “presente” di Amir include tutti gli anni della guerra ed è un racconto che ha un avanzamento temporale lineare.
Il presente dei tre militari italiani invece è di molto successivo, in quanto loro fisicamente sono già tornati in Patria, alle loro vite – per quanto improbabile sia, per chi ha visto quello che hanno visto loro, tornare alla vita di prima – con il loro carico di cicatrici fisiche e psicologiche; i tre rivivono i ricordi dell’esperienza a Sarajevo, ciascuno a modo suo, mentre il lettore può vedere chi sono adesso e i “souvenir” che la guerra ha lasciato loro.
Una cosa è certa: la guerra è una malattia da cui non si guarisce mai veramente. Tantissime persone sono morte, ma anche tra chi è riuscito a tornare a casa tanti sono “morti” dentro, perché una parte di loro – per alcuni minima, per altri quasi totalitaria – non è mai tornata dai Balcani. Chi non ha lasciato là la propria vita, ha comunque perso un pezzo di sé, sia esso fisico, mentale o di entrambi i tipi.
Vorrei tanto pensare che le violenze, le ingiustizie e gli orrori quotidiani narrati da Parretti, fossero tutte cose inventate da lui di sana pianta, ma la mia mente non è riuscita a convincersene nemmeno per un attimo, resta giusto la speranza che purtroppo credo sia vana.
Vorrei parlarvi delle due parti del romanzo separatamente, perché mi hanno lasciato emozioni molto diverse tra loro.

AMIR: il volontario bosniaco è un giovanotto di poco più di vent’anni ed è quello che ciascuno di noi definirebbe un gran bravo ragazzo. Lui si è arruolato per fare la cosa giusta, ignaro di quello che la guerra gli avrebbe portato, non certo per cercare gloria o sfogo a istinti violenti… e come lui tantissimi altri, anche se non tutti. Amir ha una sorella e una madre a Sarajevo per cui si preoccupa e che ama come ogni bravo figlio e fratello dovrebbe fare. Amir potrebbe essere il vostro amico del cuore, il vostro compagno di banco, il vostro vicino di casa, ma presto o tardi la guerra presenta il conto: magari si inizia solo con la perdita quasi totale di sonno e la nascita di tic nervosi di vario genere, ma questo è solo l’acconto e io onestamente non avevo idea di quanto salato sarebbe stato il saldo. La storia di Amir mi ha commossa, scossa nel profondo, e tutto ciò che lui racconta di aver visto e vissuto mi ha lasciata senza parole, intimamente disgustata da quegli uomini che non meritano di essere chiamati “uomini” perché di umano hanno solo le sembianze, e nemmeno “bestie” perché le bestie non conoscono la violenza gratuita e la cattiveria fine a se stessa. Le azioni commesse per giusta causa – o almeno spacciate per tali – sono pari a quelle degli oppressori! Nel mio nido sicuro non riesco a immaginare come degli esseri umani possano spingersi a fare qualsiasi cosa pur di rovinare e distruggere le vite altrui, lasciando segni che nemmeno l’eternità potrebbe cancellare. I più deboli e gli innocenti sono sempre quelli che ci vanno di mezzo gratuitamente, quelli che non servono a decidere chi vince e chi perde la guerra… solo delle pedine che non vorrebbero nemmeno giocare questa partita. Persino mentre scrivo mi sembra di essere ancora a Sarajevo negli anni della guerra, a guardare la città e i suoi abitanti con gli occhi di Amir, ad attraversare la strada con le spalle rannicchiate per paura dei cecchini, ad aspettare il prossimo botto dei bombardamenti.
Questa tra le due è sicuramente la parte che più ho apprezzato… non riesco a dire “mi è piaciuto” perché non si è trattato del solito piacere regalato da tante altre letture: una parte di me avrebbe voluto continuare a ignorare certe cose, anche se sarebbe un discorso codardo, ma alcune dei dettagli che ho “visto” in Balcani temo che mi accompagneranno per un bel po’ di tempo.

CAPASSO, PARISI, D’AMATO: questi sono i nomi dei tre militari italiani di cui il lettore ha la sfortuna di scoprire i ricordi e i pensieri odierni. Ogni volta che iniziavo un capitolo dedicato a loro, fremevo dal desiderio di tornare al diario di Amir e non potevo evitare di guardare quante pagine mi separavano da lui. Perché? Perché, malgrado le terribili esperienze, le difficoltà e tutto ciò che hanno visto e raccontato, ho detestato questi tre personaggi fin dalle prime pagine: antipatriottismo? No, semplice fastidio con una buona dose di vergogna al pensiero che loro rappresentino alcuni degli italiani che sono andati realmente a Sarajevo. Per carità sono anche loro reduci di guerra e pochi ne sono usciti bene… e loro sono arrivati solo dopo la fine della guerra vera e propria! La loro esperienza nei Balcani non è stata un viaggio di piacere, ma nemmeno si sono trovati al fianco di Amir negli anni “caldi”, ma si sono portati a casa in valigia traumi degni della guerra del Vietnam! Per carità, io che sono sempre stata qui ad osservare gli eventi dove non dovevo temere nulla, non posso dire cosa avrebbero dovuto provare o come avrebbero dovuto reagire… ma sapete la verità? Che loro, anche prima delle esperienze che li hanno cambiati per sempre, erano delle persone odiose soprattutto gli uni con gli altri: solidarietà? Coalizione? Sì, forse solo nell’accanirsi sugli elementi più deboli, sui commilitoni più “buoni”. Uno in particolare è il soldato italiano – l’unico – che si è conquistato un angolino del mio cuore, Fois, che ovviamente non è sopravvissuto alla sua esperienza nei Balcani, ma che non è certo morto per mano nemica o per una mina antiuomo. Alcol, marijuana, acidi, prostitute… pensate ad un vizio e aggiungetelo ai passatempi preferiti di questi militari, che tutto volevano, fuorché essere a Sarajevo. Per non parlare di quelli drogati di potere che meriterebbero un intero articolo a parte! L’impressione che ne ho ricavata dell’Esercito Italiano a Sarajevo è stata proprio brutta, brutta, brutta. Per non parlare del linguaggio utilizzato, credibilissimo di certo, ma di una volgarità talmente fastidiosa da farmi venir voglia di infilare una mano nel romanzo, strappare il fucile a uno di loro e sparare a tutti quanti!
Forse non era questa l’impressione che l’autore voleva dare dei nostri soldati, forse voleva solo testimoniare quello che il resto della popolazione non aveva potuto vedere con i propri occhi, ma ho trovato che questi tre personaggi difettassero moltissimo in umanità e con loro anche altri che appaiono nei loro ricordi. Non so precisamente dirvi cosa mi facesse irritare così tanto nei loro racconti, fatto sta che per loro non mi sono sentita per niente dispiaciuta. Questo sentimento non si espande a tutto l’Esercito Italiano, perché al suo interno c’erano sicuramente persone che hanno subito più di quello che chiunque meriti e molte conseguenze portate dal loro soggiorno a Sarajevo non erano né giuste, né meritate. Forse i loro atteggiamenti erano solo reazioni alle brutture che si trovavano ad affrontare, ma avrei preferito trovare persone a cui affezionarmi e che mi toccassero maggiormente il cuore. Invece quello che più mi ha commosso e sconvolto sono le cose che ho scoperto tramite i loro pensieri, immagini che continuano a girarmi in testa senza trovare un uscita, come una bella ragazza senza denti di cui non voglio svelarvi la storia – uguale purtroppo a quella di tante altre donne come lei – ma che vi assicuro lascerà il segno a chiunque di voi la leggerà.
Ogni momento avrei voluto abbandonare la lettura perché nel caldo torrido di quest’estate mi ritrovavo a rabbrividire per le parole che mi scorrevano sotto gli occhi.
Balcani non è una lettura piacevole, tantomeno una lettura da ombrellone perché le sue storie riuscivano ad offuscare anche il sole più splendente; non è un romanzo leggero da leggere a tempo perso; è una testimonianza a cui dedicare tutta la vostra attenzione; una storia da affrontare con coraggio, preparati a scoprire cose che forse non volete davvero sapere, ma che non sarete più in grado di dimenticare. Balcani è un libro che si odia, ma che lascia un grande buco nel cuore
Se dovessi dare un voto alla facilità con cui ho affrontato questa lettura non riuscirei a mettere nemmeno un gufo piccolo piccolo, ma ora che l’ho terminato sento che è stato giusto averlo portato fino in fondo… arrendermi avrebbe significato nascondere la testa sotto la sabbia e, malgrado il senso di disagio, che mi è rimasto addosso sono contenta di averlo letto.
Mi rendo conto che la mia recensione non è di certo una lode entusiastica, il libro in sé non è privo di difetti, refusi compresi… ma sapete la verità? Non sono davvero riuscita a leggerlo come un romanzo e come tale poterne criticare le imperfezioni; l’ho vissuto come un documentario su fatti reali, per quanto le vicende dei protagonisti siano fittizie, e proprio per questo sono convinta che è un libro che prima o dopo tutti dovrebbero leggere.
E con questo, passo e chiudo :)

CITAZIONE:
Quel che più mi colpisce è la sensazione che quell’uomo non si sia accorto di venire ammazzato, che niente gli sia scorso davanti agli occhi, non i bei momenti, non le facce care. Come se alla fine la morte sia un gesto banale, come premere un interruttore e spegnere la luce.

2 commenti:

  1. Bella recensione :)
    anche se non è proprio il mio genere!!

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    1. In realtà nemmeno il mio... ma mi sono lasciata guidare dalla curiosità ^^

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